lunedì 10 aprile 2017

Ci sono luoghi in cui...

Ci sono luoghi in cui il filo dei ricordi si intreccia col momento presente.
Ogni angolo evoca un immagine, un volto, un'emozione.
Possono essere luoghi famosi oppure del tutto sconosciuti al resto del mondo, ma che, in entrambi i casi, a noi dicono qualcosa in più, quasi fossero una porzione di casa nostra. Ci ricordano che lì abbiamo vissuto gioie, dolori, delusioni, amicizie, risate, pianti e chissà quante altre emozioni, quanti altri avvenimenti della nostra vita.

E poi ci sono anche luoghi che non si trovano nel mondo fisico, che raggiungiamo solo con il cuore. Non appartengono a nessun altro, eppure sono parte dell'Universo, perchè lì ci rechiamo a partire da qualunque punto della dimensione fisica per sentirci - lì sì - davvero a casa.

Dovunque siamo, l'augurio è di goderci il momento, viverlo come parte del buon cammino che è la vera meta.

Buon viaggio e ad maiora!

Torino, 10/4/17

Vero Ve




venerdì 23 dicembre 2016

Un racconto di Natale

C'era un tempo in cui il Natale lo aspettavo davvero, almeno da metà novembre.
Iniziavo scrivendo la letterina per Babbo Natale, con cura la imbustavo e cominciavo a sperare.
I regali? Non erano un problema. Quelli da ricevere li avrebbe portati lui, gli altri si confezionavano a scuola in una sorta di tempo sospeso, in cui le lezioni si svolgevano quasi senza che me ne accorgessi, travestite, com'erano, da preparativi per le Feste.

Dopo, è venuto il tempo in cui aspettavo il Capodanno. Il Natale, in quel periodo, sembrava un'inutile perdita di tempo con i parenti tra l'appello invernale ed il festeggiamento con gli amici.

E' arrivato, poi - ed è quello presente - il tempo...in cui non c'era più tempo: nè per l'attesa del Natale (scoprire all'alba del 23 dicembre, che sì, caspita! anche quest'anno ci siamo!), nè per i regali (un'impresa acquistarli, figuriamoci confezionarli!), per organizzare le cene con gli amici (al suono del ritornello "maquindiquandocivediamopergliauguri?"), per godersi la festa (no, grazie, non mi fermo a cena per finire la frutta secca e continuare a giocare a carte, domani lavoro...).

Sarei, però, ingiusta a dire che questo tempo sia il peggiore di tutti, perchè insieme alla frenesia è arrivata una certa consapevolezza. Di quale grande valore abbia il tempo, anzitutto. Di quanto esso assuma dimensioni diverse, delle quali ci accorgiamo solo una volta che è trascorso, trasformandosi da tempo in spazio nella nostra memoria: l'istante del sorriso di chi incontriamo in occasione del Natale dopo tanto tempo (amico, parente o semplice conoscente), infatti, occuperà nei nostri ricordi un posto più ampio di quello tenuto dalle ore di coda alla cassa dei negozi, in auto per la città impazzita...
Non solo.
Non saprei dire se sia o meno un regalo di coda da parte di Babbo Natale (devo ammettere che ultimamente non scrivo più letterine colorate, ma raccomandate, che però a lui non invio: non mi sembra carino nè educato...). Dopo moltissimo tempo, ho la voglia e l'entusiasmo di progetti nuovi. Nuove idee per la mia quotidianità e non solo, il piacere di pensare e di pensarmi in modo anche diverso da come ho fatto sinora.
Non sarà molto, direte voi. Può darsi. Ma la sensazione è davvero bella, tanto che se chiudo gli occhi mi sembra di essere, ancora una volta, quella bambina in trepidante attesa, piena di speranza in un tempo sospeso e carico di novità.

Auguro a me e a voi di vivere questi giorni di Natale insieme al bambino che eravamo, parlargli, chiedergli se è contento di quello che siamo diventati ed ascoltare i suoi consigli...quelli, sì, un regalo davvero prezioso.

Buon Natale, buon viaggio e ad maiora!

Torino, 23/12/16

Vero Ve






giovedì 24 novembre 2016

Where are we runnin'? (ovvero, Di Lenny Kravitz e del Referendum costituzionale)

Accade spesso che la corsa sia associata al cambiamento.

Quando corriamo cambia il nostro ritmo cardiaco, cambia il luogo in cui ci troviamo. Cambia il nostro corpo, cambiano di volta in volta gli obiettivi che ci prefissiamo.
Ecco. La corsa è la traduzione fisica dell’immagine di un andare velocemente verso un cambiamento. Ma non un cambiamento qualsiasi: il cambiamento verso cui si corre, ha in sé l’idea, lo scopo della nostra evoluzione. Mi muovo, sudo, faccio fatica, vado anche controcorrente, ma solo perché dopo migliorerò e con me migliorerà quel “pezzo di mondo” che sta intorno a me.

Non è, quindi, un caso che i musicisti esprimano questo legame, indissolubile, imprescindibile tra il cambiamento e il motivo, l’evolverci in meglio, che verso di esso, necessariamente ci spinge.
Penso ai rocker, che la rottura con la tradizione e le abitudini l’hanno nella loro natura, nel concetto stesso della loro musica. Me ne vengono in mente, in particolare, due. Distanti tra loro per provenienza e stile.

Da un lato, Luciano Ligabue (di cui sono già alla seconda citazione), quando in “Non è tempo per noi”, dice che “andare va bene, però a volte serve un motivo”. Dall’altro, Lenny Kravitz, che nell’album “Baptism”, si è chiesto “Where are we runnin’?”, cioè dove stiamo correndo e, senza tanti mezzi termini, ha dipinto la frenesia di certe corse in cui tutti quanti siamo immersi e ben poco hanno a che fare con il nostro miglioramento: “Where are we runnin’? We need some time to clear our head. Where are we runnin’? Keep on working ‘till we’re dead.”… Si chiede, cioè, dove mai stiamo correndo? Già, abbiamo bisogno di tempo per fare pulizia nella nostra testa, nel nostro pensiero. Dove mai staremo correndo? Continuando, imperterriti, a lavorare fino a quando non saremo morti.

Mi vengono in mente queste parole ogni volta che sento quanti in Italia sostengono le ragioni del “SI’” per il referendum costituzionale del prossimo 4 dicembre. Saremo, infatti, chiamati a confermare (votando “SI’”) oppure a bloccare (votando “NO”) la riforma della Costituzione proposta dall’attuale Governo e chi parteggia per la prima di queste scelte lo fa dicendo che è votare sì è opportuno per cambiare questo paese, superarne immobilismo ed la rigidità istituzionale che, parrebbero in quest’ottica i peggiori mali del paese dal Dopoguerra in avanti.

Fantastico, no?

No, in effetti.

Il cambiamento di cui sono pieni i discorsi di quanti sostengono il “SI’”, a ben guardare, non sottintende quell’evoluzione che diventa spinta della corsa, della fatica del superamento dei propri limiti. Ma piuttosto la corsa frenetica, senza scopo, senza la prospettiva di raggiungere una situazione migliorativa per il più largo numero di persone possibile che nel testo di Ligabue viene temuta e che echeggia nel testo di Lenny Kravitz. Sottintende un cambiamento che viene dato per buono di per sé. Ma che così buono non si rivela, appena si va di poco oltre l’eloquenza di chi lo propugna.

Leggendo, infatti, il testo della riforma il primo dato che salterà all’occhio anche ci chi non sia giurista più o meno esperto, è l’estrema complessità di lettura del nuovo testo rispetto a quello vigente.
Eppure i sostenitori del “SI’” dicono che la riforma ha proprio lo scopo di cambiare semplificando le istituzioni.

Purtroppo, però, anche passando dal piano della forma  a quello della sostanza, questo intento semplificativo continua a non trovare alcuna dimostrazione. Dagli attuali tre modi di produrre le leggi (legge ordinaria, decreto legge e decreto legislativo delegato), si passa, di fatto, ad una decina di modi diversi per realizzare questo risultato.

Allora forse la semplificazione sta nel fatto di avere eliminato il passaggio al Senato, così da non avere due camere che fanno le stesse cose? Non è tanto vera neppure questa affermazione. Ci saranno dei casi in cui il Senato (ah!, dimenticavo: non viene abolito, solo non avremo più alcuna certezza di votarlo direttamente perché forse i Consigli Regionali dovranno eleggerlo in conformità alle nostre preferenze per quella elezione, sempre che si capisca che cosa questa parte del nuovo testo voglia dire) si dovrà pronunciare su atti legislativi. Quindi appaiono inevitabili i conflitti di attribuzione con la Camera.
E quindi se (utilizzo di nuovo la forma dubitativa), forse, la nuova suddivisione di competenze tra Stato e Regioni porterà (ipotizziamo, pure, ottimisticamente che avvenga)ad una riduzione dei relativi conflitti di attribuzione innanzi alla Corte Costituzionale, aumenteranno quelli di attribuzione tra Camera e Senato.

Dunque la semplificazione migliorativa tanto decantata non c’è? 

No. 

Ed anzi…parrebbe di capire (ma anche qui, bisogna allargare lo sguardo alla lettura combinata del nuovo testo della Costituzione con la legge elettorale, anch’essa parte integrante dell’assetto istituzionale dello Stato) che si sia semplificato, giocando al ribasso, solo sui contrappesi ed i limiti tra i vari poteri dello Stato. Già perché, se mai la “nuova” Costituzione dovesse essere confermata, come suo retroterra, troverebbe una legge elettorale che mantiene i capilista bloccati (come oggi, scelti dai partiti e non dagli elettori) ed uno spropositato premio di maggioranza (il partito che prende pochi più voti degli altri avrà sempre, comunque, incontrovertibilmente la maggioranza dei voti in aula) e che quindi consente di avere un parlamento con un partito unico della Nazione. Questa Camera dei Deputati, oltre a ricordare il Parlamento fascista, sarà l’unica che, senza contrappeso alcuno, darà la fiducia al Presidente del consiglio dei Ministri, che, d’altro canto, potrà dettare l’agenda della discussione in aula.

Quindi la stessa aula, monocolore, che gli ha dato la fiducia e, stando dalla sua parte, opererà solo e sempre come il Presidente del Consiglio impone?
Ebbene, sì.

L’ho detto all’inizio e lo ribadisco. Non c’è sensazione più bella del correre, sudare, faticare per cambiarsi e determinare la propria evoluzione. Ma non ogni cambiamento è evoluzione. Non è evoluzione quel cambiamento che limita la partecipazione di tutti alla vita civile e politica, che consente la supremazia del partito unico e dell’uomo solo al comando.
Lo abbiamo già vissuto e superato nella storia del Paese. Quindi tutto è, tranne evoluzione.        

Per questo, la mia evoluzione, il dicembre, sarà mettere scarpe comode, correre ai seggi e, tessera elettorale alla mano, votare “NO”, così migliorando la consapevolezza di quanto per me siano importanti le garanzie della partecipazione democratica alla vita della società in cui vivo.

Ps: era da tempo che non tornavo sul sentiero del viaggio che ho iniziato, ormai quasi un anno fa, con questo blog. Condividere delle riflessioni sul referendum per cui tra un paio di settimane saremo chiamati a pronunciarci mi pareva un'ottima occasione per riprendere il cammino...

Buon viaggio e ad maiora!

Caselette (TO), 24/11/2016

Vero Ve


lunedì 2 maggio 2016

Milano, la città che corre

Negli ultimi mesi mi è capitato di recarmi spesso a Milano. L’ho fatto con lo spirito della ragazzina in gita, con gli occhi aperti a fotografare tutto ciò che la città sarebbe stata in grado di mostrarmi, sospendendo il giudizio.

Se la prima impressione è quella che conta, la mia è stata di spaesamento e frenesia, alla vista della Stazione Centrale, così grande e così densa di architetture, pubblicità giganti e gente da tutte le parti. Uscita dalla stazione, mi sono diretta verso i Bastioni di Porta Venezia, cercando di lasciarmi cullare dal susseguirsi delle vie, dei larghi e delle piazze. Davanti ai miei occhi, una città attiva, che ti dà la sensazione di poter fare e trovare di tutto nel giro di pochi metri.

Ed in quei pochi metri, è ricomparso davanti ai miei occhi anche il verde, che avevo lasciato alle spalle partendo dalle miei Valli, dei giardini Indro Montanelli. In quel verde, numerosissimi runners.  Sentendo di aver trovato “i miei simili”, ho prestato di volta in volta attenzione sempre maggiore a quella coloratissima comunità. Una comunità che a Milano, a differenza di altre città in cui chi corre viene guardato con un misto di ammirazione e sospetto,  sembra sentirsi davvero a casa. E man mano che i miei viaggi all’ombra della Madonnina continuavano credo di averne compreso il perché.

I parchi cittadini non mancano e soprattutto non mancano le iniziative, le gare, i ritrovi per essere invogliati a scendere dal divano, mettersi le scarpette ed iniziare la magica avventura della corsa.
Non so se la passione per il running che si respira a Milano sia solamente una sorta di metafora di una frenesia generale o sia, invece, il segno che in città si sperimenta uno stile di vita nuovo, che vuole riservare allo sport un ruolo altrettanto fondamentale quanto quello delle altre attività.

Mi piace pensare, però, che la spiegazione corretta sia la seconda. Il che, tra il resto, aiuterebbe a rendere un po’ meno grigia e pesante quella nebbia che invece, spesso, la Madonnina la offusca.

Buon viaggio e ad maiora!

Torino, 2/5/2016


Vero Ve


domenica 20 marzo 2016

Il paradosso della medicina occidentale

Capita a molti: il malanno di stagione. O meglio, di fine stagione, quando le temperature sono ballerine ed il corpo non capisce mai bene se reagire come si trovasse ai Poli o ai Tropici. Presi dall’ansia di guarire presto per tornare quanto prima alle nostre occupazioni, ci rivolgiamo al medico paese, così rassicurante e al tempo stesso così autorevole.
Le diagnosi – credo – si possono riassumere così: una qualche patologia più o meno acuta delle vie aeree. Le prognosi, anch’esse abbastanza prevedibili: da tre a cinque giorni di anti-infiammatorio o, per quelli messi peggio, antibiotico o cortisonico.
Viene naturale fidarsi incondizionatamente di ciò che il nostro medico ci dice. E certamente facciamo bene: non si sostituisce una Laurea con qualche nozione improvvisata o col nostro solo buon senso. Seguendo le sue indicazioni, infatti, in pochi giorni torniamo alla nostra quotidianità.
Fino, ovviamente, al prossimo malanno.
Ed allora, per conoscere il seguito, basta tornare alla prima riga e rileggere.

Eppure – quelli che in fondo sono un po’ ribelli mi capiranno – il dubbio che questa faccenda della malattia del corpo che ciclicamente torna a tormentarci si possa vedere sotto un’altra prospettiva c’è. D’altra parte gli antichi Greci, che la sapevano lunga, con il termine fàrmakon, passato praticamente invariato nell’italiano “farmaco”, indicavano sia il “rimedio, la cura” che “la droga, il veleno”. Ed allora perché non provare a cercare una soluzione a ciò che turba l’equilibrio del nostro corpo al di fuori della semplice assunzione di un certo preparato chimico?

Iniziamo, dunque, la nostra ricerca, usando internet, i libri (sì, quelli di carta, esistono ancora), le riviste ed il confronto con l’esperienza di chi ha avuto la medesima curiosità prima di noi.
Scopriamo, tra il resto, che la medicina ayurvedica collega le patologie dell’apparato respiratorio alle disfunzioni di quello digerente. Succede, infatti, che quando pitta, il fuoco del nostro metabolismo, funziona poco, si accumula kapha, il radicamento a terra, il peso. Questo eccesso impedisce a vata, l’aria, di fluire liberamente. A questo punto, apprendiamo che possono essere preziosi alleati lo zenzero, la curcuma, il pepe nero * ed il movimento – d’altra parte si parla anche di corsa su questa pagina, no? - , alimenti ed azioni che riattivano il nostro fuoco interiore e liberano lo spazio perché l'aria possa circolare al meglio.

Ma non era proprio a questo punto che il medico del nostro paese, di fronte al nostro malanno dei canali respiratori, ci aveva prescritto degli anti-infiammatori? Lo dice il termine stesso, il loro compito è proprio contrastare un qualche “fuoco”. O forse gli antibiotici? Essi, però, hanno l’effetto collaterale di uccidere i batteri della flora del nostro intestino, il che vuol dire mettere in crisi la sede di lavoro di pitta. A qualcuno, infine, è stato prescritto il cortisone? Credo che chiunque ne abbia mai assunto possa ben testimoniare che il primo effetto che si avverte è proprio quell'aumento di peso che invece si vorrebbe scongiurare per favorire il funzionamento delle vie aeree.

Ci troviamo di fronte ad un paradosso: i rimedi che dovevano contrastarne i sintomi, in realtà alimentano e nutrono la causa profonda del nostro malessere. Di nuovo, ci viene in aiuto l’origine greca della definizione della nostra medicina, che si dice “allopatica”: la sua essenza, infatti, consiste nel mettere in campo ciò che è altro (àllos) rispetto alla nostra sofferenza (pàthos). 

Se ci sia soluzione a questo paradosso, non so dire. Neppure so se una delle due strade verso la guarigione sia migliore o comunque più efficace dell’altra. Personalmente, però, non resisto mai alla curiosità di sperimentare come potrebbe essere non seguire la prima soluzione che mi viene prospettata. E poiché il paradosso in cui mi sono imbattuta non è solo un esercizio di logica, ma tocca le corde più profonde del modo che ciascuno di noi ha di vedere il mondo, affido la riflessione conclusiva – che lascio anche a voi - alle parole del grande Tiziano Terzani: “La storia di questo viaggio non è la riprova che non c’è medicina contro certi malanni e che tutto quello che ho fatto per cercarla non è servito a nulla. Al contrario: tutto, compreso il malanno stesso, è servito a tantissimo. E’ così che sono stato spinto a rivedere le mie priorità, a riflettere, a cambiare prospettiva e soprattutto a cambiare vita. E questo è  ciò che posso consigliare ad altri: cambiare vita per curarsi, cambiare vita per curare se stessi” (T. Terzani, “Un altro giro di giostra”, Longanesi & Co., 2004.

Buon viaggio e ad maiora!

Caselette, 20/3/2016

Vero Ve

*riferimento tratto da: Bhagwan Dash, “Rimedi ayurvedici per malattie comuni. Manuale pratico per la cura e la prevenzione di numerose malattie e disturbi”, pag. 42, Edizioni Meditarranee, 1999